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"Quelle verdure nell'oblio meritano un'altra chance" di Beatrice Castioni per Verona Fedele

Pastinaca,Portulaca, Erba amara, Aglio orsino....

Più gastronomia e meno “mangiare per vivere”. Questo il proposito che Morello Pecchioli, giornalista e critico enogastronomico veronese, si augura per il futuro prossimo della cucina italiana. Unendo la sua passione per la narrazione e quella per la ricerca delle origini di erbe, legumi e ortaggi della nostra tradizione, ha confezionato un volume dal titolo “Le verdure dimenticate. Conoscere e cucinare ortaggi antichi, insoliti e curiosi”, presentato sabato 18 gennaio negli spazi della Cantina Albino Piona di Villafranca e animato dalla compagnia teatrale veronese GTV Niù. “Il cibo è fondamento della cultura e del sentimento. Noi purtroppo ne siamo diventati analfabeti, perché stiamo perdendo la conoscenza e le competenze dei contadini del territorio. L’agrobiodiversità è a rischio, le varietà locali sono abbandonate a favore di quelle geneticamente uniformi e a buon rendimento”, spiega Pecchioli. Le esigenze dei rivenditori spingono ad investire più sul guadagno che sulla diversità, lo confermano le statistiche di Coldiretti: negli ultimi 100 anni è sparito almeno il 75% di frutta, il 95% di grano, la lattuga è passata da 497 varietà a 36, e la barbabietola da 288 a 17. Inoltre, alcuni cibi considerati umili vengono scelti sempre meno, complice anche un’oggettiva difficoltà di coltivare certe piante o trasportarle sui luoghi deputati al mercato. “Per fortuna possiamo ancora assaporare alcuni di questi ortaggi dimenticati nei mercatini a km 0, come succede a Villafranca. Attraverso le pagine del mio libro, ho provato a guidare il lettore nella scelta e nell’acquisto di verdure ed erbe, combattendo la pigrizia e l’abitudine”, prosegue il vincitore del Premio Ischia per la narrazione enogastronomica. Il quale, con racconti, aneddoti, curiosità e gustose ricette abbinate a vini del Belpaese, ha voluto così accompagnarci in un viaggio alla ri-scoperta di sapori e colori. Partendo proprio da un’eccellenza del territorio, il broccoletto di Custoza. Fino a metà del xx secolo, commensali da tutto il mondo arrivavano nel veronese per scoprire ed assaggiare questa specialità, che si è meritata anche una festa tutta dedicata e che è protagonista di tortelli, zuppe, pasticci, dolci e gelati. Qualche altro esempio di ortaggi peculiari? La pastinaca, utilizzata come patata prima che fosse importata quella americana. Nell’impero romano di Tiberio, molti debiti venivano saldati proprio con il dono di questo tubero, che deve il suo nome al modo in cui veniva consumato: lungo la strada, per pranzi veloci ma che saziavano come pasti completi. Dopo la sua scomparsa dalle tavole nel 1800, oggi se ne sono riscoperte le virtù come fonte di potassio, antiossidante, digestiva, antinfiammatoria e antitumorale. Nel volume troviamo anche il Buon Enrico, uno spinacio di montagna che salvò i cittadini del regno di Enrico IV dalla carestia. La Cicoria, che si è guadagnata una festa che la celebra a Soncino (Cremona) e le cui radici hanno sostituito il caffè nel periodo italiano sotto il dominio napoleonico (e non solo allora…). Quindi l’erba amara, simbolo della purificazione di corpo e spirito nella Quaresima e legata alla maternità. “I talli d’aglio e l’aglio orsino sono poi degni di nota. I primi erano considerati benefici per gli affetti da disturbi psichiatrici, nell’antico Egitto, oltre che essere scaccia spiriti maligni. I secondi invece hanno adottato questo nome perché erano la principale fonte di nutrimento degli orsi usciti dal letargo. Entrambi sono ottimi contro la pressione alta e il diabete, purificano il sangue e disintossicano”, illustra Pecchioli. Che pesca dal suo libro anche l’asparago selvatico, di cui l’imperatore Augusto andava ghiotto. E poi la portulaca, contro l’invecchiamento della mente e ricca di omega 3; la barba di frate, legata all’industria del vetro soffiato durante la Repubblica veneziana e apprezzata dalla cucina giudaica kosher. Per concludere infine con il Topinambùr, un carciofo originario del Canada che era mangiato nei periodi di povertà in Italia; e il taràssaco, più comunemente chiamato pisciacane o dente di leone. “Se oggi conosciamo la miscela Leone, è perché in passato questo fiore, tostato, è stato sostituito anche al caffè.” Un percorso culinario, quello di Pecchioli, che esalta l’importanza di nutrirsi con consapevolezza, perché siamo quello che mangiamo e la nostra identità passa anche attraverso l’attenzione con cui scegliamo cosa portare in tavola.

 

 

 

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